Uno studio clinico condotto in Inghilterra ha indagato sui possibili effetti di un “restringimento” di questi intervalli, e ha concluso che al massimo questa misura potrebbe essere utile in caso di carenze significative di sangue
L’intervallo minimo tra le donazioni di sangue intero, che è di 90 giorni per gli uomini e 180 per le donne, è spesso criticato anche dagli stessi donatori, che “si sentono bene” e vorrebbero donare più spesso. Uno studio clinico condotto in Inghilterra ha indagato sui possibili effetti di un “restringimento” di questi intervalli, e ha concluso che al massimo questa misura potrebbe essere utile in caso di carenze significative di sangue, dato che all’aumento del sangue raccolto corrisponde anche un maggior numero di effetti collaterali a medio e lungo termine, a partire dall’abbassamento dei livelli di ferro ed emoglobina nei potenziali donatori. Meglio puntare quindi ad un ampliamento della platea dei donatori e a un consolidamento di quella esistente, soprattutto in un contesto come quello italiano in cui l’autosufficienza per il sangue intero è ormai raggiunta da diversi anni.
Lo studio INTERVAL, è stato condotto per quattro anni dall’università di Cambridge su circa 40 mila donatori, ridotti a 20 mila nel secondo biennio, e i risultati sono stati appena pubblicati su Lancet Haemathology. I partecipanti uomini sono stati assegnati random a intervalli di 12, 10 oppure 8 settimane tra le donazioni, mentre le donne venivano chiamate ogni 16, 12 oppure 10 settimane.
Al termine dei 4 anni di studio la raccolta è risultata aumentata, dell’11% negli uomini e del 6% nelle donne, rispetto ad un gruppo di controllo che seguiva l’intervallo standard, ma la donazione più frequente ha portato anche degli effetti negativi. “Questi risultati – scrivono infatti gli autori -, suggeriscono che i centri di raccolta del sangue possono in sicurezza usare intervalli di donazione più brevi per affrontare carenze, ad esempio in periodi di domanda elevata. Tuttavia, lo studio mostra che l’aumento della frequenza fa sì che ci siano più sospensioni temporanee dei donatori per emoglobina bassa e che si abbassino il tasso di emoglobina e di ferritina medi, oltre a far aumentare il numero di sintomi riconducibili alla donazione soprattutto negli uomini. Pertanto, è importante valutare l’accettabilità e la sostenibilità della variazione per periodi più lunghi di due anni”.
Soprattutto nel contesto italiano, in cui come detto gli 1,7 milioni di donatori riescono a garantire l’autosufficienza anche grazie alla compensazione interregionale per cui le aree dove si raccoglie di più sopperiscono a quelle in deficit, “spremere” i donatori restringendo l’intervallo sembra quindi poco efficace se rapportato agli effetti collaterali a cui si può andare incontro.
L’esigenza per il sistema italiano è più quella di ampliare la platea attuale, soprattutto coinvolgendo le fasce più giovani che ora sono meno rappresentate. L’età media dei donatori italiani infatti è in continuo aumento, ed è questo fattore, che non avrebbe giovamento da una donazione più frequente, che a lungo termine può mettere a rischio l’autosufficienza.
Fonte: www.agi.it