Negli ultimi tempi si è spesso raggiunti da accorate richieste per la donazione di sangue. È tristemente ordinaria in Sardegna la carenza del liquido salva-vita per cui ospedali e associazioni continuamente si rivolgono al buon cuore delle persone perché si doni di più. Ma fatta la doverosa premessa sull’emergenza continua, è altrettanto importante ogni tanto soffermarsi sulla bellezza del dono e sul cuore grande di chi con caparbietà costantemente offre il suo sangue.
Il desiderio di “restituire il dono” ha spinto l’Avis di San Gavino Monreale e ThalassAzione Medio Campidano a unire le forze per dire grazie ai donatori e a chi quotidianamente offre le proprie risorse (professionali, di cura familiare, di volontariato) per investire sulla salute e il benessere di tanti. Si è voluto aprire un varco sull’ignoto che solitamente segue una donazione: tutti sanno che il sangue è utilizzato per le trasfusioni necessarie nei vari interventi chirurgici, per trattamenti terapeutici, per tenere in vita chi è affetto da talassemia. Ma una cosa è sapere in generale, altra cosa è stare accanto a chi ha ricevuto il dono, guardarsi negli occhi, poter entrare nella storia di sofferenza e speranza di un’altra persona. Che fine fa, insomma, il sangue che si dona? Intorno a questa domanda si è svolto il convegno “Il dono che salva – Consapevolezza sull’uso del sangue donato”, tenutosi sabato 16 marzo presso il Teatro di San Gavino Monreale con il patrocinio dell’amministrazione comunale.
I partecipanti sono stati accolti con simpatia e semplicità dai presidenti delle associazioni organizzatrici, Diego Cotza per l’Avis e Eloisa Abis per ThalassAzione, che dopo un breve saluto hanno lasciato le redini al giornalista Anthony Muroni. Ospiti speciali sulle poltrone del salotto cinque testimoni che, grazie anche alla professionalità e estrema sensibilità del conduttore, con grande generosità e non poca emozione hanno regalato alla platea la loro esperienza di donazione. Storie di grande carica emotiva, ma estremamente vicine a ciascuno. Storie di persone semplici, genitori, figli, sposi che in un giorno particolare e senza nessun preavviso si sono trovati ad avere bisogno di sangue. Una sacca per un giorno, tante sacche per un intervento, sacche innumerevoli per una vita intera. Come non partecipare emotivamente al racconto di Walter, lui stesso donatore di sangue, ciclista pluricampione che per una malattia renale si trova ad affrontare un trapianto di rene? Come non fare il tifo per lui che non si arrende e continua impavido a spingere sui pedali e raggiungere i suoi traguardi? Ma per affrontare il trapianto ha avuto bisogno di sangue donato e il sangue era disponibile. Come non pensare che al posto di Alessandro (altro donatore) ci sarebbe potuto essere chiunque altro, vittima di un incidente stradale che da un momento all’altro lo porta d’urgenza in sala operatoria. E c’è bisogno di intervenire per salvargli la vita, ma c’è bisogno di sangue per quell’intervento. E il sangue era stato donato, era lì. “Non avrei mai pensato che un giorno il sangue che donavo per gli altri sarebbe servito anche per me”, dice con stupore. E come non angosciarsi ascoltando la storia di Manuela, con complicazioni inaspettate dopo un parto e una gravissima emorragia che si ferma dopo una trasfusione di sangue, e la sua vita riprende e tutto si mette inspiegabilmente a posto? Per non parlare dell’emozione che trapelava dalle storie di Stefania e di Emanuela, diverse ma comuni perché entrambi mamme di bambini talassemici. Storie di paure iniziali, di coraggio grande, ma anche di forte speranza e di serenità. Perché la talassemia oggi non è più come quella di un tempo e se fa ancora paura, di certo ci sono mille strumenti in più per affrontarla. Ancora non si può dire che di talassemia si guarisce… ma forse invece, sottovoce, sì, si può almeno iniziare a sperare. Vedere in sala le famiglie dei testimoni, figli compresi, è stato il messaggio di speranza e di bellezza forse più grande, frutto anche questo di tante donazioni di sangue.
La tanto attesa proiezione del docufilm, curato dallo stesso Anthony Muroni su commissione di ThalassAzione Onlus, è stata un proseguo naturale delle testimonianze. Un’opera di alta qualità e di forte impatto emotivo che accompagna gli spettatori sui passi da gigante fatti dalla ricerca e dalla medicina nella lotta contro la talassemia. Passi raccontati con semplicità e grande umanità da medici e ricercatori, alcuni precursori dei risultati che oggi iniziano a intravedersi (il cuore batte più forte quando sullo schermo appaiono le immagini e si sente la voce del professor Antonio Cao) altri che ancora oggi dedicano le loro energie per un progetto che è assolutamente di guarigione, ma anche di conquista di più semplice fruibilità delle terapie. E soprattutto passi raccontati dagli stessi talassemici, oggi adulti, con vite lavorative avviate, con la propria famiglia e che, pur con alcuni limiti legati alla patologia, davvero possono dire di aver raggiunto “Il sogno di una vita (quasi) normale”, titolo dello stesso docufilm. “La malattia non mi definisce, io sono molto più che la malattia” dichiara uno di loro durante un’intervista. “Che cosa definisce una vita normale?”, chiede un altro.
L’emozione era palpabile: chiunque avrebbe potuto alzarsi e raccontare qualcosa, come si fa quando ci si ritrova in famiglia e tra amici. È stato bello per i donatori ascoltare le storie di chi riceve il sangue, capire quanto davvero anche una sola sacca in più o in meno possa fare la differenza tra la vita e la morte, acquisire la consapevolezza che ciò che si fa è molto importante, anche se costa relativamente poco. Ed è stato bello anche per chi ha ricevuto o costantemente riceve il sangue, solitamente senza sapere da chi, avere l’occasione di stringere le mani, di dire grazie con le parole, con un sorriso, con la condivisione che la sua è vita piena anche per merito di tanti donatori, anonimi eroi della società moderna.
Francesca Chiu